di Roberto Bartolini
Le proteste degli agricoltori per il prezzo di quest’anno del grano duro che non copre nemmeno i costi di produzione hanno sollecitato il Ministero dell’Agricoltura a presentare un pacchetto di proposte che si articolano in sette punti:
1 - Fondo di 40 milioni di euro per valorizzare il grano di qualità 100% italiano
2 - Credito di imposta di 10 milioni di euro per le industrie di trasformazione che utilizzano cereali nazionali con contratti di coltivazione.
3 - Attivazione della Commissione Unica Nazionale (CUN) per il grano duro dal 1 gennaio 2026 per rendere più trasparente la formazione del prezzo. La CUN secondo il Ministero dovrebbe diventare il “luogo” in cui agricoltori e compratori definiranno congiuntamente il prezzo del grano superando le borse merci locali per garantire una maggiore trasparenza.
4 - Aumento del finanziamento per i contratti di filiera con un incremento di 2 miliardi di euro che comprendono anche il grano duro.
5 - Pubblicazione dei costi medi di produzione da parte di Ismea suddivisi tra Sud-Centro-Nord per rendere operativa la normativa sul contrasto alle pratiche sleali, quindi per contrastare le vendite a prezzi sottocosto.
6 - Il CREA si occuperà di un filone di ricerca su nuove varietà di grano duro più produttive e resilienti
7 - Rafforzamento dei controlli alle frontiere per assicurare che il grano importato rispetti gli standard europei in modo da evitare concorrenza sleale; potenziamento del sistema di tracciabilità e trasparenza dell’origine del grano.
Secondo Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia le proposte del Ministero vanno nella giusta direzione tuttavia avranno effetti molto limitati pe le seguenti ragioni:
1- I prezzi li fa il mercato e non la CUN
2- Il fondo grano duro esiste dal 2017 ma i suoi effetti sono molto limitati
3- I contratti di filiera sono la strada maestra da percorrere ma sono ben poca cosa dal momento che rappresentano meno del 15% del grano duro prodotto in Italia.
4- Il contrasto alle pratiche sleali e la pubblicazione dei costi medi di produzione potranno favorire una maggiore trasparenza e attenzione nelle relazioni tra venditori ed acquirenti ma non sono in grado di modificare le forze di mercato ovvero la domanda e l’offerta.
Dunque la volatilità dei prezzi è inevitabile perché è regolata esclusivamente da offerta e domanda e quindi l’agricoltore la subisce, ma può limitarne gli effetti negativi affidandosi con maggiore slancio e fiducia ai contratti di coltivazione e all’aggregazione dell’offerta.




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